Nonostante covid-19 la vita all’interno delle strutture residenziali mantiene una propria quotidianità ricostruita, per necessità, con diverse modalità di relazione e comunicazione
Era fine febbraio quando abbiamo (Diaconia Valdese Valli) limitato le visite dei parenti all’interno delle nostre strutture residenziali; la prima settimana di marzo quando abbiamo sospeso le visite e l’11 marzo quando abbiamo lanciato l’hashtag, #siamoapertiaportechiuse. Siamo ora a fine aprile, le nostre strutture sono sempre chiuse all’esterno – gli unici ad entrare sono medici e operatori – ma si sono creati nuovi equilibri e stimoli che accompagnano la vita di tutti i giorni.
Modalità diverse di comunicazione e relazione si sono ridisegnate e ricostruite nelle quattro strutture residenziali – Asilo dei Vecchi, Casa delle Diaconesse, Rifugio Re Carlo Alberto e Uliveto – tra la Val Pellice e la Val Chisone-Germanasca, ma non solo!
Il Coronavirus, più precisamente covid-19, è un vero e proprio nemico invisibile per gli ospiti ed operatori delle strutture così come per i famigliari e la comunità che vive all’esterno.
Il virus ha scombussolato tutto: il modo di agire, relazionarsi, comunicare e guardare all’altro: sembra che in qualche modo ci porti a ridurre tutto all’essenza, e ci obblighi a trovare nuovi modi per creare contatto.
‘Il nostro obiettivo è preciso: dobbiamo fare in modo che il virus, questo nemico invisibile, non entri nella nostra struttura – racconta Loretta Costantino, responsabile della Comunità Alloggio Uliveto –, e per farlo non abbiamo altra scelta che chiuderci dentro e mantenere le distanze.
La cosa più difficile è spiegare ai nostri ospiti, che ricercano costantemente il contatto fisico, che in questo momento non è possibile’.
‘Ci viene chiesto di mantenere la distanza dai nostri ospiti – dice Eleonora Piccaluga, animatrice all’Asilo dei Vecchi di San Germano –, proprio in un momento dove le persone più che mai avrebbero bisogno di gesti di accoglienza e sostegno. Proviamo, quindi, a reinventarci ogni giorno, ponendo l’attenzione su un sorriso o uno sguardo che possa rassicurare. Anche le parole hanno una valenza diversa: ponderiamo e ricerchiamo quelle in grado di trasmettere fiducia’.
La situazione attuale tende quindi a modificare equilibri e quotidianità così importanti per gli anziani, i disabili e le persone con demenza e Alzheimer. Le visite annullate, la paura delle notizie diffuse, la riduzione di alcune attività possono aumentare solitudine, ansia e smarrimento. Per questo è importante mantenere viva la relazione: chiamate, videochiamate, messaggi, devono favorire un senso di continuità e sicurezza.
‘Il contatto visivo e comunicativo si è trasformato – precisa Marcello Galetti, responsabile del Rifugio Re Carlo Alberto – grazie all’ausilio di strumenti quali cellulari, tablet e pc. Ospiti e parenti sono assolutamente collaborativi: si concorda insieme l’orario per la videochiamata, ci si aiuta reciprocamente e si mantiene vivo il contatto, così prezioso, con l’esterno. Purtroppo i volontari, aiuto fondamentale in questa operazione, stanno lasciando la struttura per rientrare a casa e questo ci obbliga a riorganizzarci internamente.’
‘Compensiamo le assenze con video chiamate alle famiglie, messaggi e foto – prosegue la Costantino – nonostante la difficoltà dei familiari e la nostalgia di non poter vedere i loro cari.
Oss, educatori, educatrici, infermiera, fisioterapista, operatrici delle pulizie, responsabili: siamo tutti schierati a difesa dei più fragili, con mille ansie e mille difficoltà, ma sempre nel rispetto della vita’.
‘Oltre a chiamate e videochiamate – continua la Gaydou – il contatto con l’esterno passa anche attraverso la nostra pagina Fb: raccontiamo la vita all’interno della casa e attendiamo con curiosità i commenti di chi ci segue. I parenti inviano messaggi, mail, lettere ed anche delle magnifiche poesie: piccoli gesti e piccole attenzioni che donano momenti di gioia e grande conforto.’
‘Si fa fatica a spiegare agli anziani il perché non vengono più i loro cari a trovarli – racconta Piccaluga – e allora ci siamo organizzati con video chiamate e telefonate. Abbiamo liste lunghissime e ogni giorno il foglio bianco si riempie di nomi e orari. A volte si fatica a far capire che le persone sul display sono i propri figli, figlie o nipoti, ma le espressioni di stupore, i sorrisi a volte anche i silenzi, parlano da soli!’.
Quindi, se da una parte si cerca in tutti i modi di scandire le giornate con l’obiettivo di stare ‘vicino’, in ogni modo possibile, agli ospiti per far sì che trovino serenità nella quotidianità vissuta tra le mura della ‘casa’ e non vivano il peso di un affetto che manca, dall’altra si cerca di affrontare una situazione nuova e complicata. Si riorganizzano le attività (le risorse per l’animazione si sono ridotte limitando l’entrata dei professionisti esterni e si è dovuto rinunciare al servizio civile e ai volontari); i turni dei vari operatori (facendo fronte alle mutue, per esempio); ci si prende cura dei dipendenti che vivono una situazione di stress e si continua il lavoro incessante per mettere in sicurezza ospiti e operatori, reperendo il maggior numero possibile di dispositivi di protezione individuale.
‘La parte operativa del lavoro è cambiata poco – racconta Stefano Bosio, vice responsabile dell’Asilo dei Vecchi – e quando lo ha fatto è stata per sopperire al numero di malattie. Due sono gli aspetti che maggiormente emergono in questo momento: la disponibilità totale da parte degli operatori a dare il massimo per il bene degli ospiti andando anche aldilà del proprio ruolo. Sin dall’inizio, prima che venisse formalizzato il servizio, si sono resi disponibili ad usare i propri cellulari per alcune videochiamate per gli ospiti’. ‘Inoltre – prosegue Bosio -, tutti stiamo e stanno dando il massimo ma la paura è compagna giornaliera e lo stress un amico indesiderato.
La maggior parte dei nostri operatori sono madri di famiglia che mai avrebbero pensato di aver timore di ammalarsi lavorando a contatto con il proprio collega; il clima dettato dalle restrizioni rende tutto asettico. È una situazione a tratti surreale e che ci rende diffidenti del nostro prossimo. Questa è la sfida più grande che le nostre strutture si trovano ad affrontare: rimanere umani, con la speranza che altri più titolati di noi si attrezzino quanto prima a individuare un modo per uscire da questo buio.’
‘Lavorare in questa situazione – prosegue Loredana Gaydou – è fonte di apprensione e stress per le nostre operatrici. Anche per questo motivo è stato creato ed offerto al personale un supporto psicologico gratuito. Di questa malattia ne sappiamo poco e quasi ogni giorno arrivano nuove disposizioni e decreti: stare dietro a tutto non è semplice!’
‘La pressione è potente, la paura e lo stress compagni costanti e inevitabili – continua Marcello Galetti – ma abbiamo la fortuna di poter usufruire di un supporto psicologico interno. La solidarietà, il confronto e l’aiuto tra colleghi è la nostra grande forza: alterniamo momenti di ‘up and down’ sia al lavoro che a casa, ma facciamo fronte comune contro un nemico invisibile’. ‘Una delle difficoltà maggiori – conclude Galetti – è la riorganizzazione quotidiana. Non potendo uscire o far entrare personale esterno, cercando di assicurare al maggior numero di colleghi il tele-lavoro, tutto si è ridotto, anche la parte amministrativa. Da quasi 5 settimane non esistono sabati e domeniche e il nostro lavoro è completamente assorbito dall’emergenza. Nota positiva è invece la grande solidarietà tra strutture, anche esterne alla Diaconia Valdese Valli (vedi l’Asilo dei Vecchi di Luserna), e colleghi’.
Monica Onnis